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 Oggetto del messaggio: Re: ***LUGLIO 2009***
MessaggioInviato: 04/07/2009, 0:29 
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 Oggetto del messaggio: Re: ***LUGLIO 2009***
MessaggioInviato: 04/07/2009, 0:59 
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Il dottor Cardoso fece una piccola pausa e poi continuò: quella che viene chiamata la norma, o il nostro essere, o la normalità, è solo un risultato, non una premessa, e dipende dal controllo di un io egemone che si è imposto nella confederazione delle nostre anime; nel caso che sorga un altro io, più forte e più potente, codesto io spodesta l'io egemone e ne prende il posto, passando a dirigere la coorte delle anime, meglio la confederazione, e la preminenza si mantiene fino a quando non viene spodestato da un altro io egemone, per un attacco diretto o per una paziente erosione. Forse, concluse il dottor Cardoso, dopo una paziente erosione c'è un io egemone che sta prendendo la testa della confederazione delle sue anime, dottor Pereira, e lei non può farci nulla, può solo eventualmente assecondarlo dicendogli bunanotte. Il dramma per me è tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi - veda - si crede "uno", ma non è vero: è "tanti", signore, "tanti", secondo tutte le possibilità d'essere che sono in noi: "uno" con questo, "uno" con quello - diversissimi! E con l'illusione, intanto, d'esser sempre "uno per tutti", e sempre "quest'uno" che ci crediamo in ogni nostro atto. Non è vero! non è vero! Ce n'accorgiamo bene, quando in qualcuno dei nostri atti, per un caso sciaguratissimo, restiamo all'improvviso come agganciati e sospesi: ci accorgiamo, voglio dire, di non esser tutti in quell'atto, e che dunque una atroce ingiustizia sarebbe giudicarci da quello solo, tenerci agganciati e sospesi, alla gogna, per una intera esistenza, come se questa fosse assommata tutta in quell'atto! Ora lei intende la perfidia di questa ragazza? M'ha sorpreso in un luogo, in un atto, dove e come non doveva conoscermi, come io non potevo essere per lei; e mi vuol dare una realtà, quale io non potevo mai aspettarmi che dovessi assumere per lei, in un momento fugace, vergognoso, della mia vita! Questo, questo, signore, io sento sopra tutto. E vedrà che da questo il dramma acquisterà un grandissimo valore. Ma c'è poi la situazione degli altri!
Se le valutazioni teoriche (vero e falso) sono puramente convenzionali, le valutazioni morali (bene e male) sono puramente soggettive, cioè relative all'individuo singolo e alle situazioni in cui l'individuo viene a trovarsi. Non c'è nulla che sia assolutamente buono o cattivo e non c'è una norma che valga a distinguere assolutamente il bene dal male; giacché queste determinazioni non sono inerenti alla natura delle cose, ma dipendono dagli individui, dove non esiste lo Stato; o, dove c'è lo Stato, dalla persona che lo rappresenta o da un arbitro o giudice che gli individui in disaccordo tra loro scelgono affinché la sua sentenza serva loro di legge. In generale, si chiama bene ciò che si desidera, male ciò che si odia; e poiché il raggiungimento di ciò che si desidera procura piacere, e il piacere aumenta e rafforza il movimento della vita, così le cose che danno piacere si chiamano pure giovevoli e belle. Quando nella mente dell'uomo si alternano desideri diversi ed opposti, speranze e timori, e si presentano le conseguenze buone e cattive di un'azione possibile, si ha quello stato che si chiama di deliberazione.
Esso termina nell'atto della volontà che decide di agire o non agire. La volontà conclude temporaneamente i dubbi, le oscillazioni, le incertezze dell'uomo; ma questi rinascono subito, giacché l'uomo non può raggiungere uno stato definitivo dì tranquillità e di quiete. Perciò non si può parlare di un sommo bene e di un fine ultimo nella presente vita dell'uomo. Un fine ultimo sarebbe tale che, dopo di esso, nient'altro dovrebbe essere desiderato.
Ma poiché, il desiderio si accompagna necessariamente alla sensibilità, l'uomo che avesse raggiunto il fine ultimo non solo non desidererebbe più nulla, ma neppure sentirebbe e quindi non vivrebbe affatto. «La vita, dice Hobbes (L’uomo,11), è un movimento incessante che, quando non può continuare in linea retta si trasforma in moto circolare».
Nella vita umana così intesa, non c'è posto per la libertà. Hobbes definisce la libertà come «l'assenza di tutti gli impedimenti all'azione che non sono contenuti nella natura e nell'intrinseca qualità dell'agente». Questa definizione riduce la libertà alla libertà d’azione, che c'è quando la volontà non è impedita nelle sue manifestazioni esteriori, ma nega la libertà del volere. Quando un uomo ha appetito o volontà di qualche cosa dicui nell'istante anteriore non aveva né appetito né volontà, la causa della sua volontà non è la volontà stessa, ma qualcosa di diverso, che non dipende da lui.
La stessa volontà è dunque causata necessariamente da altre cose: in quanto hanno cause necessarie, le azioni umane sono necessitate. Hobbes, che ha chiarito e difeso il suo determinismo nella polemica col vescovo Bramhall, insiste sul fatto che la volontà è intrinsecamente necessitata dalle cause e dai motivi che le sono inerenti, motivi che in ultima analisi sono dovuti alla totalità della natura, giacché tutti gli atti dello spirito umano (compresa la deliberazione e la volontà) sono movimenti connessi degli oggetti esterni. “Difficilmente v’è qualche azione che, per quanto sembri casuale, non sia prodotto da tutto ciò che esiste in natura”.

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 Oggetto del messaggio: Re: ***LUGLIO 2009***
MessaggioInviato: 04/07/2009, 1:08 
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:o :o :o complimentoni......... ;) ;) ;)

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 Oggetto del messaggio: Re: ***LUGLIO 2009***
MessaggioInviato: 04/07/2009, 1:29 
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Allora ho fatto punto !!!!!!!!

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 Oggetto del messaggio: Re: ***LUGLIO 2009***
MessaggioInviato: 04/07/2009, 1:53 
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TritaZ ha scritto:
Il dottor Cardoso fece una piccola pausa e poi continuò: quella che viene chiamata la norma, o il nostro essere, o la normalità, è solo un risultato, non una premessa, e dipende dal controllo di un io egemone che si è imposto nella confederazione delle nostre anime; nel caso che sorga un altro io, più forte e più potente, codesto io spodesta l'io egemone e ne prende il posto, passando a dirigere la coorte delle anime, meglio la confederazione, e la preminenza si mantiene fino a quando non viene spodestato da un altro io egemone, per un attacco diretto o per una paziente erosione. Forse, concluse il dottor Cardoso, dopo una paziente erosione c'è un io egemone che sta prendendo la testa della confederazione delle sue anime, dottor Pereira, e lei non può farci nulla, può solo eventualmente assecondarlo dicendogli bunanotte. Il dramma per me è tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi - veda - si crede "uno", ma non è vero: è "tanti", signore, "tanti", secondo tutte le possibilità d'essere che sono in noi: "uno" con questo, "uno" con quello - diversissimi! E con l'illusione, intanto, d'esser sempre "uno per tutti", e sempre "quest'uno" che ci crediamo in ogni nostro atto. Non è vero! non è vero! Ce n'accorgiamo bene, quando in qualcuno dei nostri atti, per un caso sciaguratissimo, restiamo all'improvviso come agganciati e sospesi: ci accorgiamo, voglio dire, di non esser tutti in quell'atto, e che dunque una atroce ingiustizia sarebbe giudicarci da quello solo, tenerci agganciati e sospesi, alla gogna, per una intera esistenza, come se questa fosse assommata tutta in quell'atto! Ora lei intende la perfidia di questa ragazza? M'ha sorpreso in un luogo, in un atto, dove e come non doveva conoscermi, come io non potevo essere per lei; e mi vuol dare una realtà, quale io non potevo mai aspettarmi che dovessi assumere per lei, in un momento fugace, vergognoso, della mia vita! Questo, questo, signore, io sento sopra tutto. E vedrà che da questo il dramma acquisterà un grandissimo valore. Ma c'è poi la situazione degli altri!
Se le valutazioni teoriche (vero e falso) sono puramente convenzionali, le valutazioni morali (bene e male) sono puramente soggettive, cioè relative all'individuo singolo e alle situazioni in cui l'individuo viene a trovarsi. Non c'è nulla che sia assolutamente buono o cattivo e non c'è una norma che valga a distinguere assolutamente il bene dal male; giacché queste determinazioni non sono inerenti alla natura delle cose, ma dipendono dagli individui, dove non esiste lo Stato; o, dove c'è lo Stato, dalla persona che lo rappresenta o da un arbitro o giudice che gli individui in disaccordo tra loro scelgono affinché la sua sentenza serva loro di legge. In generale, si chiama bene ciò che si desidera, male ciò che si odia; e poiché il raggiungimento di ciò che si desidera procura piacere, e il piacere aumenta e rafforza il movimento della vita, così le cose che danno piacere si chiamano pure giovevoli e belle. Quando nella mente dell'uomo si alternano desideri diversi ed opposti, speranze e timori, e si presentano le conseguenze buone e cattive di un'azione possibile, si ha quello stato che si chiama di deliberazione.
Esso termina nell'atto della volontà che decide di agire o non agire. La volontà conclude temporaneamente i dubbi, le oscillazioni, le incertezze dell'uomo; ma questi rinascono subito, giacché l'uomo non può raggiungere uno stato definitivo dì tranquillità e di quiete. Perciò non si può parlare di un sommo bene e di un fine ultimo nella presente vita dell'uomo. Un fine ultimo sarebbe tale che, dopo di esso, nient'altro dovrebbe essere desiderato.
Ma poiché, il desiderio si accompagna necessariamente alla sensibilità, l'uomo che avesse raggiunto il fine ultimo non solo non desidererebbe più nulla, ma neppure sentirebbe e quindi non vivrebbe affatto. «La vita, dice Hobbes (L’uomo,11), è un movimento incessante che, quando non può continuare in linea retta si trasforma in moto circolare».
Nella vita umana così intesa, non c'è posto per la libertà. Hobbes definisce la libertà come «l'assenza di tutti gli impedimenti all'azione che non sono contenuti nella natura e nell'intrinseca qualità dell'agente». Questa definizione riduce la libertà alla libertà d’azione, che c'è quando la volontà non è impedita nelle sue manifestazioni esteriori, ma nega la libertà del volere. Quando un uomo ha appetito o volontà di qualche cosa dicui nell'istante anteriore non aveva né appetito né volontà, la causa della sua volontà non è la volontà stessa, ma qualcosa di diverso, che non dipende da lui.
La stessa volontà è dunque causata necessariamente da altre cose: in quanto hanno cause necessarie, le azioni umane sono necessitate. Hobbes, che ha chiarito e difeso il suo determinismo nella polemica col vescovo Bramhall, insiste sul fatto che la volontà è intrinsecamente necessitata dalle cause e dai motivi che le sono inerenti, motivi che in ultima analisi sono dovuti alla totalità della natura, giacché tutti gli atti dello spirito umano (compresa la deliberazione e la volontà) sono movimenti connessi degli oggetti esterni. “Difficilmente v’è qualche azione che, per quanto sembri casuale, non sia prodotto da tutto ciò che esiste in natura”.



no............quello l'ho fatto io................tu hai scritto bunanotte nel tuo testo kilometrico........ :) :)

e io l'avevo letto molto attentamente...............se avessi messo ancora la parolina magica in un post di risposta, sarebbero stati 2 miei messaggi consecutivi..........:D :D :D :roll: :roll: :roll:


Forse, concluse il dottor Cardoso, dopo una paziente erosione c'è un io egemone che sta prendendo la testa della confederazione delle sue anime, dottor Pereira, e lei non può farci nulla, può solo eventualmente assecondarlo dicendogli bunanotte.[/quote]

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