L'ordine dei "Capezzoni Leopardati" fu istituito nel '500 in un paesino della bassa bergamasca, fuori il clima era rovente, orde di Dolciniani incendiavano gli animi delle folle promettendo "Cchiu pilu per tutti". Gli uomini più allupati organizzarono un sit-in bloccando la Salerno-Samarcanda sul viadotto tra Lagonegro e Kushkupir, mentre le mogli preparavano kebab e distribuivano boccali di Cognidium, barattandoli con prestazioni extraconiugali, a quelli più dotati. La CPS (Confraternita Pecorai Sardi) accusò i Capezzoni di coltivare lenticchie transgeniche. Tali lenticchie facevano raddrizzare i membri dell'ordine influenzando la partita a loro sfavore in quanto correre all'indietro risultava impossibile, avendo tra le gambe il battacchio turgido e fosforescente che oltretutto attirava anche sciami di palandricchi, che adoravano sguazzare nello strutto. Il capo dei Capezzoni, frate Spuntato, raccoglieva quotidianamente ghiandone e castagne da far bollire per distillare un liquore chiamato Smerollafrati il cui gusto assomigliava al napalm bevuto con due gocce di grappa. La domenica mattina, dopo essersi confessati, i Capezzoni allestivano delle bancarelle vicino al venditore di fumo che vendeva pure i famosi ravioli ripieni con ricotta e aghi di pino. Nel mercatino spuntavano sempre delle rarità tipo le orecchiette allegre, le code di volpe dondolanti, gli stronzi molleggianti da cruscotto che modificavano l'aspetto euristico della cognizione individuale e l'utilissimo scacciamosche a forma di vuvuzela, ma quello che cercavano i Capezzoni più anziani erano semi di Lophophora Williamsii. Le sementi di Peyote, usate come mangime per tacchini, erano di libero acquisto purchè consumate sul posto. Succedeva quindi che i tacchini più affamati venivano fatti ingrassare nei coffeeshop per poterli poi spennare e cucinare alla livornese, ovvero infilandogli uno spiedo dietro, marinandoli nel Vov e passandoli alla brace. Questa tecnica dava, alla carne di tacchino, un leggero
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